Un farmaco c’è ma te lo devi pagare, l’altro c’era ma è scomparso, il terzo c’è ma solo tu non puoi averlo! Storie di ordinaria follia e di conclamata ingiustizia.
Elena Radaelli è una giovane donna affetta, come altre decine di migliaia di persone in Italia, da orticaria cronica spontanea, una malattia fortemente invalidante in grado di arrecare grave danno alla vita personale e sociale di chi ne è affetto.
Da qualche anno è disponibile l’Omalizumab, un farmaco biologico estremamente efficace, ma l’Aifa, l’Agenzia Italiano del Farmaco ha posto un limite temporale di un anno all’utilizzo del farmaco; passato questo tempo ognuno deve arrangiarsi o utilizzando farmaci meno efficaci e con una tossicità di gran lunga superiore o acquistando a proprie spese l’Omalizumab. L’interruzione della terapia dopo un anno registra circa il 60% di recidive, la platea coinvolta è quindi estremamente ampia.
Le ragioni di questo limite temporale all’uso dell’Omalizumab con il Servizio Sanitario Nazionale sono del tutto sconosciute come hanno più volte ribadito l’Associazione Allergologi e Immunologi Italiani Territoriali e Ospedalieri (Aaiito) e l’Associazione Ricerca e Cura dell’Orticaria (Arco) della quale Elena Radaelli è presidente. Infatti, hanno fatto notare le due associazioni: l’Italia è l’unico paese del mondo occidentale ove vige questa regola assurda che pone un limite temporale al trattamento di una patologia che è cronica nel nome stesso; tale limite temporale non esiste per l’impiego del medesimo farmaco biologico nei pazienti affetti da asma; tale situazione non è etica per i medici che hanno in cura i suddetti malati e configura tratti di assoluta incostituzionalità venendo meno la tutela della salute dei pazienti affetti da orticaria cronica spontanea grave.
Nonostante tale situazione sia stata segnalata all’Aifa da oltre un anno, Arco sia stata audita dall’Agenzia del Farmaco dalla Regione Lombardia siano state presentate varie interrogazioni parlamentari, Aifa continua a fare orecchie da mercante ed intanto il tempo passa e i malati soffrono inutilmente. Alcune Regioni hanno trovato modalità informali per aggirare tale divieto mentre permane il blocco all’uso del medicinale in altre quali ad esempio: Lombardia, Sicilia e Liguria, “definendode facto un’iniquità territoriale della cura e dunque inasprendo ulteriormente – dichiarano Arco e Aaiito – la totale mancanza di rispetto dell’articolo 32 della Costituzione italiana relativa alla tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
All’origine di questa incomprensibile vicenda vi sarebbe l’interesse della Novartis, l’azienda produttrice dell’Omalizumab e i suoi strani rapporti con l’Aifa; infatti originariamente l’Aifa aveva autorizzato la vendita del farmacoall’interno del SSN per un solo anno con l’impegno a rivedersi con Novartis, alla scadenza di tale periodo, per abbassare il prezzo e adeguare il protocollo terapeutico alle evidenze scientifiche. Ma questo impegno sarebbe stranamentefinito nel dimenticatoio con il silenzio complice dell’Aifa.
Gabriele sta assumendo regolarmente un farmaco a base di testosterone necessario come terapia di transizione nei soggetti con disforia di genere, in questo caso persone transessuali che transitano dal genere femminile a quello maschile, e per chi è affetto da ipogonadismo maschile, una condizione di inadeguato funzionamento dei testicoli; ma improvvisamente i farmaci a base di testosterone diventano difficili da trovare in tutta Italia. Gli specialisti e gli attivisti lanciano l’allarme.
“Fino ad ora – riferisce dottoressa Stefania Bonadonna, endocrinologa, responsabile gruppo di lavoro disforia di genere di un ospedale milanese – gli endocrinologi hanno cercato di aggirare la mancanza di questi farmaci proponendo altri preparati alternativi spesso, purtroppo, più costosi ma… oggi cominciano a mancare anche questi” con gravi conseguenze sul piano clinico e psicologico: cardiopatia, insulinoresistenza, osteoporosi, grave deflessione del tono dell’umore, ripresa delle mestruazioni con implicazioni estremamente gravi e complesse. L’azienda leader nella produzione di questi farmaci, la Bayer, si rifiuta di fornire alcuna motivazione, mentre gli stessi farmaci sono regolarmente reperibili negli altri Paesi Europei.
Anche in questo caso nessuna risposta istituzionale da chi ha precise responsabilità.
Fouad, nome di fantasia, vive in Italia, ha il codice STP – Straniero Temporaneamente Presente – che gli dà diritto all’assistenza sanitaria, è affetto da Leucemia Mieloide Cronica, seguito da un ospedale di Torino che gli prescrive un medicinale innovativo estremamente efficace. Per ottenerlo è necessario riempire un modulo dell’Agenzia Italiana del Farmaco, ma i medici non riescono a compilare la richiesta, il software dell’Aifa chiede l’inserimento del codice fiscale e non è in grado di ricevere il codice STP: il farmaco non si può ordinare, un problema tecnico impedisce il godimento di un diritto riconosciuto dalla legge. L’ospedale decide di utilizzare fondi a sua disposizione per pagare la terapia a Fuoad, l’Ordine dei Medici di Torino sostiene questa scelta. Ma si tratta di una scelta certamente non generalizzabile, necessaria per porre un rimedio transitorio ad un’ingiustizia. Ma quanti altre persone rimarranno senza terapia per un software non aggiornato?